NOCTURNO rosso

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Titolo
NOCTURNO rosso

Staff Creativo
Story By: Matteo Bonvicino
Director: Matteo Bonvicino


Synopsis

Un teatro. La vita di una persona racchiusa in questa dimensione a metà strada fra il reale e l’onirico. Uno stato d’animo delirante, succube di un forte peso sulla coscienza. In un vorticare di immagini e suoni, la protagonista attraverserà l’unico percorso possibile. Sino alla sua conclusione.


La Rilettura

Il massimo delirio.

Un delirio opprimente si scatena durante un’azione improvvisa, non pianificata, in un contesto che ha dell’assurdo sin dai suoi primi connotati. Un palcoscenico, a dimostrazione della vita intesa come un’eterna parodia di sè, di luoghi, di emozioni e di amori sprecati, intrisi di amarezza, di istinti incontrovertibili e difficilmente mascherabili.

Quello che la protagonista vive, e subisce, in questo cortometraggio ricalca in un certo modo le azioni e le sensazioni vissute in NOCTURNO grigio ovvero una sorta di mistero racchiuso in questi ultimi momenti di vita. Ma, a differenza del primo cortometraggio, qui la narrazione è volutamente meno marcata.

E’ sfrondata di ogni vezzo e di ogni orpello classico della narrazione cinematografica, dal momento che è improntata ad un mero assunto assurdo di base. La narrazione è scarnificata, e la protagonista altro non può fare che sublimare su se stessa questo fattore.

Non c’è contesto, non c’è una storia, intesa come un filo logico da seguire ma, piuttosto, un filo logico emotivo che poco ha a che fare con le immagini proiettate nella nostra mente. A conti fatti, questo NOCTURNO rosso è un’astrazione emotiva di quello che può occorrere in una condizione sfalsata come gli ultimi momenti di vita.

Sebbene, di fatto, sia più un ripercorrere gli stessi passi già compiuti che hanno portato proprio a questo.

Poco si conosce della vita della protagonista e c’è da scommettere che il teatro e i doppelganger presenti poco abbiano a che fare con lei e con le sue consuetudini.

No, qui l’affresco emotivo si erge su un livello meno fisico e ne abbraccia, volutamente, uno metafisico, impalpabile. Se vogliamo, impercettibile.

Come un filo di tela di ragno, abbozzato, solo imbastito ma così forte e solido da essere filo conduttore dell’intera vicenda.

Il microfono fa cassa di risonanza (a livello fisico) degli applausi di un pubblico inesistente ma, nonostante tutto, non riesce a nascondere le urla delle sirene in arrivo.

Sirene che, in contrasto con l’apparente calma e solitudine visiva, sembrano farsi sempre più forti. Sempre più presenti. Sempre più inevitabili.

In questo caleidoscopico ed allucinante viaggio interiore che poco sa di reale, la protagonista riscopre, man mano, tutta una serie di emozioni e di contrasti che, personificati proprio nei doppelganger, le ricordano da dove arriva e il perchè della sua presenza in questo teatro.

Un teatro vuoto, desolato. Non un teatro di cabaret ma, a tratti, quasi un teatro del burlesque, con quella sua avvolgente tristezza e ed insubordinazione.

Una narrazione emotiva, dunque, basata sui suoni e sulle sensazioni più che sulle immagini vere e proprie, che cerca di infondere altre immagini nella mente. Le immagini che non sono raccontate sullo schermo ma che, paradossalmente, sono quelle più importanti.

Quelle che guidano la narrazione stessa. Cosa capiti in quel determinato frangente dove la telecamera inquadra solo un microfono non è dato saperlo. Ma sappiamo, invece, quali sono le sensazioni che trasmette. Sensazioni di angoscia e di mistero, con una punta di fastidiosità.

Questa è la narrazione vera, quella che scaturisce dall’inconscio, come se ognuno di noi, di fronte a quanto visto, possa trasformarsi nel media, nel mezzo vero e proprio della narrazione stessa, essendo egli stesso una cassa di risonanza emotiva.

La protagonista è costretta a rivivere la decisione che ha scaturito il tutto. E lo rivive accompagnata da risate quasi isteriche, sfalsate dal contesto. Come se tutto questo non fosse reale.

E, soprattutto, come se tutto questo fosse già accaduto.

sep3

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